L'ARENA

CRISI ECONOMICA

Quale futuro
in Valpolicella?
Domenica 14 Febbraio 2010 LETTERE, pagina 25 giornale

Aziende che chiudono, operai e impiegati in cassa integrazione o licenziati, famiglie in difficoltà economica; aziende che resistono in qualche modo senza investire alcuna risorsa per il semplice fatto che non c'è denaro e accedere al credito è sempre più difficile;
ma chi ci salverà? L'amarone? L'orchidea selvatica di Marezzane? Il turismo che non c'è?
Con proverbiale puntualità la ricetta di chi niente ha più da chiedere alla propria carriera lavorativa o che nulla ci ha a che fare, nella sostanza propone: «Intanto chiudiamo le industrie, anche se funzionano; distruggono, inquinano e ci caricano di traffico; poi per i poveri dipendenti una soluzione si troverà...».
Certo magari in lista di attesa con i disperati, che speranzosi, giungono, anche dall'estero, nella prosperosa Valpolicella per lavorare un mese come vendemmiatori negli sterminati campi di qualche fortunato; oppure ad elemosinare, come in tempi remoti, una giornata di lavoro a qualche nobile rampollo proprietario terriero che dopo aver ottenuto successo e denaro nella produzione e vendita di vino si erge, solo adesso, a simbolo e baluardo del territorio.
Tra tutti i benpensanti, un solo colpevole: l'industria della Valpolicella, anche quella che è cresciuta assieme al vino quando l'agricoltura ti costringeva ad emigrare; la stessa Valpolicella che ora alza la testa, reclama i suoi diritti, vuole riprendersi ciò che le spetta, e cancellare ciò che non è più necessario perché ormai è diventata nobile.
Ma che cosa è stato fatto per rendere superflua l'attività industriale? Niente! Qual è l'alternativa occupazionale?
Ovviamente parliamo di alternativa seria, quella della chiarezza contrattuale, quella degli stipendi dignitosi e magari per dodici mesi all'anno, quella che ti consente di vivere e che produce benessere ovvero quella che, per nostra fortuna, abbiamo vissuto in tutti questi anni.
Chi si scandalizza per lo sfruttamento delle risorse naturali, anche se controllato e pianificato, per il picchio rosso e le orchidee in pericolo, non ha in qualche angolo recondito della propria mente una preoccupazione per eventuali centinaia di nuovi disoccupati e le loro famiglie? E rallentare ulteriormente un volano economico che già di per sé sta soffrendo? Dal dibattito finora emerso sembra proprio di no.
Nel frattempo avanti tutta, la battaglia è importante, ogni mezzo è lecito soprattutto se fa clamore ed è catastrofico, milligrammi confusi per microgrammi, inceneritori che spariscono da una parte e si spostano da un'altra (come lascia trasparire una recente pubblicazione); si cercano «alleati» oltre Manica; perfino la piccola «Futura» è confusa (meno male!!), ma di un dibattito equilibrato che metta in campo soluzioni nemmeno l'ombra.
Sia chiaro che dalla parte opposta non ci sono lavoratori autolesionisti disposti a tutto pur di conservare il posto di lavoro, bensì persone preparate e consapevoli, legittimamente preoccupate per il loro futuro.
Un solo dubbio: chi ha la responsabilità di decidere per il Bene Comune, terrà conto di tutto ciò?
Andrea Gregori
AMANCIO Morando
Impiegati della Cementirossi