L’Arena 26 aprile 2011
MARANO. Le campagne di scavi, seppure condotte a fasi alterne, hanno prodotto risultati ben oltre le aspettative e altri misteri da sciogliere
Castelòn, tesoro storico nazionale
Agnese Ceschi
Il tempio di Minerva è stato incluso nelle Settimane della cultura. Brunella Bruno, della Soprintendenza: «Decorazioni nello stesso stile usato a Pompei»
Il tempio di Minerva venuto alla luce sul Castelònll Tempio di Minerva di Marano entra nel circuito della XIII «Settimana della Cultura» promossa dal ministero per i Beni Culturali. Sulle pendici del Monte Castelon a Marano di Valpolicella è sepolto un millennio di storia. È la scoperta emersa dalla campagna di scavo condotta nell’ultimo anno per volontà del sindaco Simone Venturini e della Sovrintendenza ai Beni Archeologici del Veneto.
Gli esiti sono stati illustrati nella consiliare del Comune di Marano. In tutti i documenti storici, in particolare nei carteggi dello storico dell’Ottocento Girolamo Orti Manara, si parla di un tempio di epoca romana. Di questo si avevano solo disegni, testimonianze e ipotesi. Grazie alla campagna di scavi il tempio è venuto alla luce, ma la portata della scoperta è ben più sorprendente. Orti Manara non immaginava che sotto i resti del tempio di epoca imperiale vi fossero le tracce di un precedente luogo di culto tardo repubblicano (intorno al 100 aavnti Cristo). Il ritrovamento poi di ben 40 anelli retici (risalenti al 400 a.C.) è di portata rilevante, che lascia intravvedere, esiti imprevedibili per gli scavi futuri.
Nell’anno 1836 vengono pubblicati sul «Bollettino di archeologia» i risultati della campagna di scavo condotta dallo storico Girolamo Orti Manara nei pressi del Monte Castelon di Marano. Il resoconto, corredato dai disegni del pittore mantovano Razzetti, parla della presenza di un tempio di età romana dedicato alla dea Minerva, provato dal rinvenimento di epigrafi che recavano il suo nome (ora conservate presso il Teatro Romano). La ricerca viene abbandonata, come i resti. Ma rimane nella comunità locale, e non solo, la memoria del leggendario tempio; si parla addirittura di una statua d’oro della dea. Nel 2006 la Soprintendenza ai Beni Archeologici del Veneto chiede al sindaco Venturini di fare luce sul mistero del Castelon e gli scavi hanno inizio. Nel 2007 il tempio svela le prime tracce della sua esistenza, ma le risorse mancano. Nel 2010 il Comune acquista l’area che ora appartiene al Demanio pubblico e può essere aperta alla valorizzazione.
Il progetto Castelon ha previsto un grande e impegnativo cantiere di scavo con movimenti terra di circa 400 metri cubi in un contesto soggetto a tutela paesaggistica. «Essendo il Castelon un monte terrazzato, con stratigrafia complessa, abbiamo dovuto andare per gradi per evitare di provocare grossi crolli di terra», dice Giorgio Bernardi della Sap, società archeologica mantovana che ha seguito il cantiere. «Sono stati effettuati 20 sondaggi esplorativi a circa 4 metri di profondità: uno di questi ha rilevato una parte di cinta muraria e una scalinata».
La conferma della presenza del tempio sottostante ha sollevato un problema. Come affrontare la messa in sicurezza del cantiere? È stato necessario rimuovere una grossa quantità di terreno, sono stati cancellati 5 terrazzamenti fino a raggiungere la roccia. Ciò ha permesso di aprire una zona di lavoro di venti per 10 metri, per potere procedere in profondità.
Scendendo in profondità, sotto le rovine del tempio di età augustea, di cui si conosceva già l’esistenza grazie al lavoro di Orti Manara, è venuto alla luce un pavimento in coccio-pesto risalente al 100 a.Cristo circa ricoperto poi dal tempio tardo imperiale. Di questa antica struttura si hanno poche testimonianze, ma sufficienti per fare ipotesi interessanti. «Possiamo dire con certezza che si tratta di un tempio tardo-repubblicano, decorato con la tecnica pittorica “primo stile pompeiano”, la stessa che ritroviamo nella casa di Sallustio a Pompei. Abbiamo rinvenuto pannelli gialli e verdi, tipici di quel tipo di decorazione a muro. La cosa rilevante è che si tratta di una tecnica rara e diffusa prevalentemente nel centro-sud Italia e ciò presuppone una committenza informata delle mode dell’epoca», racconta Brunella Bruno, funzionario del nucleo operativo di Verona della Soprintendenza.
Le ipotesi prospettano risvolti interessanti ma per ora ciò che emerge in superficie è la struttura del tempio di età augustea. E non è poco. Esso si presenta come un edificio triporticato con un muro in opera reticolata di importanti dimensioni su cui sembra poggiassero colonne doriche. La particolare tecnica è la stessa impiegata per il Teatro Romano. La stanza centrale, ne resta un pavimento in coccio pesto rosso con tasselli bianchi, è collegata al portico da una scalinata. Gli unici reperti mobili rinvenuti sono una cinquantina di monete tardo-antiche (4-5 secolo d.C.) che confermano l’ipotesi che il santuario avesse una cassa comune, creata con offerte o rendite.
Molti interrogativi restano aperti, ma ciò che affascina di più sono le ipotesi riguardo alla chiusura del tempio. Sono state rinvenute infatti tracce di cenere: un incendio devastante? Oppure: è stato chiuso, essendo santuario pagano, a seguito degli Editti teodosiani che hanno promosso il cristianesimo nell’Impero? Una cosa è certa. La sacralità del luogo non è andata persa: il Castelon venne scelto nuovamente come luogo di culto per costruirvi una chiesa dedicata alla Madonna.
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